maschera antigas

Il tampone Ciamician-Pesci

Il Piave mormorava al passaggio dei primi Fanti il 24 maggio …

Ma forse, il 24 maggio 1915 il Fiume Sacro avrebbe mormorato ben altro sapendo che le nostre truppe avevano la differenza di preparazione di un anno rispetto i nemici quella che guerreggiavano già dal 28 luglio 1914 ed avevano sperimentato nuove tattiche e nuovi materiali ancora ignorati dal Regio Esercito.

Un aspetto poco conosciuto era la guerra chimica e i gas asfissianti

Le truppe francesi, algerine e canadesi, il 22 aprile 1915, durante la seconda Battaglia di Ypres, avevano patito circa 5000 asfissiati in 10 minuti causa l’attacco tedesco con i gas sprigionanti vapori di cloro

Subito, tutti i contendenti corsero a sperimentare dispositivi protettivi per occhi, mucose e vie respiratorie.

E anche l’Italia, ormai in guerra, cominciò a cercare una soluzione che si ritenne trovata realizzando un tampone di garze sovrapposte a forma di becco di passero imbevute di sostanza reattiva.

Il manufatto era identico al tampone usato in campo sanitario tanto che fu denominato “tampone Ciamician-Pesci.

La progettazione e la sperimentazione furono molto brevi e, in pochi mesi, iniziò la produzione di quella che fu la prima maschera antigas in dotazione alle nostre truppe.

Il dispositivo veniva realizzato in casa dalle massaie che cucivano in sovrapposizione tra loro vari strati di tulle in modo da creare un imbuto con una piccola tasca.

Una volta raccolti i manufatti realizzati dalle casalinghe e concentrati nei presidi chimico-sanitari, essi venivano completati inserendo una faldina impregnata con una soluzione acquosa di carbonato di sodio, di potassio e iposolfito di sodio.

La soluzione veniva riposto in una busta di spesso cotone cerato corredato da una boccetta della stessa sostanza neutralizzante quale dose di reintegro.

In caso di necessità il dispositivo veniva fissato al volto grazie a due anse di elastico che passavano dietro alle orecchie con le narici a contatto della faldina della soluzione neutralizzante.

Secondo le intenzioni dei chimici progettisti, il dispositivo avrebbe dovuto proteggere le mucose e le vie respiratorie.

Non c’era alcun schermo per gli occhi per i quali si ricorse ad un paio di occhiali di mica foderati di panno pettinato per gli oculari

Tali protezioni furono distribuite anche agli effettivi dei reparti mobilitati dell’Arma.

Tali protezioni si rivelarono purtroppo inadeguati quando, all’alba del 29 giugno 1916, il Generale austriaco Boroevic comandò l’attacco sul Monte San Michele inondando l’area tenuta dal 19° e 20° Reggimento con 6000 bombole di gas fosgene intossicando i difensori e penetrando così tra le linee italiane da dove si continuò con il lancio dei gas venefici verso la linea difensiva Monte San Michele – San Martino del Carso (paese a cui il poeta-soldato Ungaretti dedicò una tra le sue più conosciute e toccanti poesie)

L’azione offensiva austriaco perse la sua efficacia nel pomeriggio quando, il variare del vento fece risalire i gas creando, tra l’altro, problemi alle truppe ungheresi che dovettero ripiegare pagando anche loro uno scotto a causa dei propri gas.

Tale evento atmosferico permise al Generale Gandolfo di fare rioccupare parte delle trincee sul San Michele dai resti della Brigata Regina.

A fine giornata, tra le truppe italiane, tra morti e intossicati si contarono 200 ufficiali e 6500 sottufficiali e truppa.

Immediatamente dopo l’, gli sperimentatori chimici furono sollecitati a trovare nuove soluzioni che si concretizzarono nel giro di pochi mesi nella maschera protettiva Polivante Z.

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