L’intervista al Maresciallo Capo Francesca Parisi
Pubblichiamo una lunga e interessante intervista nata dall’incontro tra la nostra addetta stampa Chiara e il Maresciallo Capo Francesca Parisi.
Un nuovo contributo alla storia della Prima guerra mondiale nasce da un’approfondita ricerca documentaria confluita in “CAPORETTO. IL RIPIEGAMENTO SULLA LINEA DI RESISTENZA DEL PIAVE”, l’ultimo libro scritto dal maresciallo maggiore dei Carabinieri Francesca Parisi, per la collana “I Carabinieri Reali nella Grande Guerra”. In quest’intervista l’autrice ci accompagna nel “dietro le quinte” del suo minuzioso lavoro di analisi, portando alla luce un quadro significativo di testimonianze e condotte che rivelano nuovi dettagli su uno degli episodi cruciali della Grande Guerra.
Qual è lo scenario che è riuscita a ricostruire con i documenti esaminati all’archivio storico del Museo dell’Arma?
Il patrimonio documentario dell’Arma dei Carabinieri consente di allargare l’orizzonte delle vicende belliche, introducendo temi nuovi, e di osservare il quadro complessivo sotto una speciale lente di ingrandimento: la polizia militare.
Argomenti come il trattamento dei prigionieri, le Case del soldato, le tradotte e il sistema delle licenze dei soldati, la propaganda a favore e contro la guerra, l’andamento della diserzione e della renitenza, le emergenze sanitarie derivanti da forme epidemiche che serpeggiavano nelle trincee, la regolamentazione della circolazione di militari e civili in zona di guerra, gli strumenti a sostegno alla popolazione in particolare nei territori occupati e le criticità dell’ordine pubblico all’interno del Regno rappresentano soltanto alcuni degli imprescindibili aspetti che troviamo narrati nelle relazioni e nei carteggi dei carabinieri.
Lo scenario che ne deriva è complesso, un immenso mosaico che si compone di infinite tessere, alcune delle quali ancora mancanti, incasellate in maniera erronea o semplicemente mai ricercate, ma che soltanto nella loro completezza potranno restituire il quadro complessivo di una guerra che ha investito soldati, persone e famiglie, interi sistemi socio-economici, politici e culturali, contribuendo alla costruzione della Nazione italiana e al rafforzamento dei valori patriottici, promuovendone la condivisione allargata e la sedimentazione di una memoria collettiva.
C’è una testimonianza emersa durante l’Inchiesta seguita agli esiti della battaglia di Caporetto che l’ha particolarmente colpita?
Le testimonianze rese dagli ufficiali dell’Arma alla Commissione d’inchiesta su Caporetto rappresentano una fonte qualificata, con particolare riferimento alla visione complessiva che essi ebbero delle vicende belliche.
I carabinieri sono dotati di una sensibilità che in uno scenario di guerra consente loro di intervenire a sostegno della popolazione e di non perdere le caratteristiche funzioni che esercitano in tempo di pace. Ogni testimonianza presenta caratteri d’interesse, che spesso suggeriscono una visione comune degli eventi o, più raramente, un giudizio di segno diverso, derivante dall’incarico ricoperto o dal particolare contesto operativo.
Riporto quindi le parole di un ufficiale reggino che si trovò ad operare nella mia città natale quasi un decennio prima dei fatti di cui trattiamo e che espresse una singolare comparazione con un’esperienza che sembrerebbe totalmente estranea a quel contesto: il terremoto calabro-siculo del 1908.
“Io ho passato i giorni della ritirata lungo le strade e ho potuto notare che lo spirito delle truppe era depresso in un modo eccezionale. Durante il ripiegamento venne l’ordine di non far passare nessuno al di là del Piave, epperciò tutti gli sbandati venivano internati in campi di concentramento, succedeva però che, dato il numero straordinario di militari sbandati, i campi non potevano essere sufficientemente vigilati e succedeva così che molti fuggivano, ritornando sbandati.
Lo spirito delle truppe era assai depresso, epperò debbo notare che il nostro soldato di fronte ad atti di energia riacquistava l’antica virtù ritornando quel soldato che è.
Per dire l’impressione che riportai nei dolorosi giorni della ritirata, farò un paragone. Io sono nativo di Reggio Calabria e subito dopo il terremoto sono stato mandato a Messina con un battaglione della Legione Allievi. Appena sbarcato vidi un nucleo di pazzi che scappati dal manicomio venivano verso la marina. Nel trovarsi in mezzo a tutte quelle rovine, a tutti quei cadaveri, avevano il viso sconvolto e inebetito per tanta rovina. Ebbene l’istessa dolorosa impressione si rinnovò nella mia mente quando io vidi quella fiumara di gente che per la stanchezza, per i disagi e gli affanni aveva l’istesso viso inebetito”.
A suo parere il giudizio storico su questi eventi va rivisto?
Il giudizio sulle vicende di Caporetto deve tenere conto di molteplici fattori e della complessità dello scenario militare, socio-economico, politico e culturale del nostro Paese. È un argomento che presenta numerose prospettive e infinite sfumature e, a mio avviso, non può essere contenuto in un giudizio parziale, lontano dalla dottrina e dal pensiero militare del tempo e dal comune sentire dei soldati, prescindendo dallo studio dell’atteggiarsi delle popolazioni all’interno del Regno, in zona di guerra e nei territori occupati e poi sgomberati o, ancora, trascurando aspetti contrastanti quali il profondo radicamento dei valori patriottici che coesisteva con il disfattismo di chi non ammetteva la guerra o semplicemente non ne comprendeva il senso come mezzo di risoluzione. Articolate, ancora, furono le dinamiche che spinsero il soldato ad abbandonare le armi illudendosi che il conflitto fosse giunto al termine, per poi ricredersi e combattere con maggiore convinzione e fede nella vittoria, senza dimenticare che parte delle truppe mantenne le posizioni assegnate senza vacillare, consentendo il ripiegamento dell’esercito e dei civili.
La Collezione Antoniazzi custodisce la Medaglia di Bronzo di uno dei protagonisti di queste vicende. Quale ruolo e valore possiamo dare a questi oggetti e quanto sono importanti i pochi luoghi che li conservano?
I cimeli consentono l’immediata percezione di ciò che trasmettono, senza bisogno di mediazione o elaborazione, fattori di cui i documenti genericamente necessitano.
Per usare le parole di Vittorio Gorini, che per primo espresse la necessità della istituzione di una Museo per l’Arma dei Carabinieri:
“Le narrazioni scritte, comunque eloquenti e poderosamente sentite, non valgono a pareggiare l’impressione che l’anima e la mente ricevono dalla visione di quelle raccolte di memorie reali che riguardano la storia di un popolo, di una città, di una istituzione. Per via degli occhi fedeli, il cuore comprende, sente ed apprende”.
Il concetto di cimelio è efficacemente definito come memoria reale, un aggettivo quest’ultimo qui riconducile al latino rēs (cosa), che appunto descrive la capacità di un oggetto di riprodurre nella mente l’esperienza passata, azionando la percezione sensoriale che si apprezza nell’impatto visivo, nella consistenza materiale, a volte anche nell’odore, legandola a eventi e personaggi che già si conoscono o, in caso contrario, che si riescono in tal modo a immaginare.
Questa è l’importanza dei cimeli, che risiede nella loro forza rievocativa, di semplice assimilazione, nelle suggestioni che sono capaci di ispirare e, per gli occhi più esperti, nella loro capacità descrittiva e certificante, che insieme alla memoria documentaria e iconografica consente di ricostruire un quadro d’insieme più completo.
Il Museo dei Carabinieri Reali, che custodisce la Collezione Antoniazzi, è un raro esempio di paziente e attenta raccolta di oggetti significanti che, legati da un intenso vincolo e ordinati in maniera sistematica, assurge, per la rarità e il valore dei suoi elementi, a dignità museale.
Senza considerare il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, che custodisce il patrimonio culturale formato e raccolto dall’Istituzione, i luoghi che conservano questi tesori della memoria sono pochi e devo dire che il Museo fondato da Antoniazzi rappresenta, per quanto ho potuto sinora esplorare, un unicum nel panorama museale di settore, e non soltanto per la presenza di cimeli che non di rado sono dotati del carattere di unicità, aspetto di per sé di straordinaria valenza, o per la completa fruizione di essi a beneficio dell’intera collettività, ma anche per aspetti spesso purtroppo trascurati, primo fra tutti l’attenzione alla tutela, intesa come corretta conservazione, attraverso la stabilità delle condizioni ambientali necessarie per preservare gli oggetti o l’idoneità degli strumenti espositivi, fattori di effettiva garanzia di trasmissione alle future generazioni dei valori e delle esperienze sedimentate.
La promozione di iniziative editoriali, di eventi culturali, di approfondimento nella conoscenza dei cimeli, la ricerca continua di oggetti che possano arricchire il percorso espositivo, e magari colmare una lacuna, il sacrificio di tempo e risorse personali, la passione autentica per la tradizione e il sistema culturale dell’Arma, rendono il Museo dei Carabinieri Reali di Guido Antoniazzi non soltanto un luogo in cui la storia e la cultura dell’Arma tornano in vita, ma un prezioso e virtuoso esempio da seguire.
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